Più che mai, in questo periodo, emergono le nostre insicurezze più profonde ed è forte il desiderio di fuggire via, andare lontano, perché solo così ci sembra di essere davvero liberi, per non dover fare i conti con le verità che portiamo dentro. Ci sono storie e personaggi che raccontano bene questo senso di oppressione, questo bisogno di esprimersi, di dar voce a chi siamo davvero e Unorthodox, miniserie prodotta da Netflix sul mondo ebraico ortodosso, è una di queste.
Di cosa parla Unorthodox?
Ispirata all’autobiografia di Deborah Feldman, pubblicata nel 2012 (Unorthodox – The scandalous rejection of my Hasidic roots), Unorthodox è una miniserie di quattro puntate, diretta da Maria Shrader, scritta da Anna Winger e Alexa Karolinski, è disponibile su Netflix dal 26 marzo ed la prima recitata in lingua yiddish (idioma del mondo ebraico ortodosso) della piattaforma.
Esty è un’ebrea chassidica, della comunità di Satmar a Williamsburg, Brooklyn, ha diciannove anni ed è intrappolata in un matrimonio che non dà i frutti che tutti sperano, un bambino. Decide di fuggire a Berlino, per studiare musica e trovare la sua strada, rompendo tutti i tabù della sua comunità. Ma la sua famiglia non accetta questa fuga e invia a Berlino Yanky, il marito di Esther, con il suo brutale cugino Moishe, per riportarla indietro. Dopotutto, come dice il rabbino, “un ebreo che ha trasgredito è pur sempre un ebreo. Non possiamo lasciare che la nostra gente si smarrisca”.
Uno sguardo su un mondo sconosciuto
La bellezza di Unorthodox è merito, soprattutto, della bravura di Shira Haas, interprete di Esty: corpo filiforme, minuto, ma un volto e uno sguardo capaci di catturare lo spettatore e la macchina da presa, dotata di un fuoco che si riversa nel suo personaggio.
La storia si snoda tra Brooklyn, dove sono ambientati i flashback che raccontano la vita della comunità, e Berlino, dove Esty scopre l’amicizia, si priva della parrucca e prova, per la prima volta, il rossetto (che si chiama, a sottolineare ancor di più il suo risveglio in nuova realtà, Epiphany). Siamo morbosamente affascinati dai riti ebraici, dalle usanze, dagli uomini che indossano il rekel, gli shreimel e i payot, i tradizionali boccoli che lasciano crescere ai lati del viso. Le donne portano lunghe gonne, abiti informi e sono costrette a rasarsi i capelli per indossare delle parrucche che, per colori e modello, le rendono tutte uguali. Gli è proibito leggere libri laici, cantare in pubblico e studiare il Talmund e non hanno contatti con uomini che non siano della stessa famiglia.
In Unorthodox il nemico invisibile sono le donne
Esty fugge da tutto questo e da molto altro: dalle chiacchiere e dai pettegolezzi che la seguono costantemente (“Perché non hai un figlio?”, “Perché non fai sentire tuo marito un re, com’è scritto nella Legge?”, “Perché fai lezioni di piano con una shiksa?”) e queste parole non sono pronunciate dagli uomini della comunità, ma dalle donne. Esty è vittima non del patriarcato, ma dell’indifferenza delle sue coetanee e dei sussurri malevoli della suocera, delle cognate e della zia.
In Unorthodox, nonostante a capo della comunità ci sia un uomo, è sorprendente notare che, in realtà, il vero motore dell’azione sono le donne. Gli uomini, soprattutto quelli giovani, sono spesso marionette nelle mani delle madri, passivi e obbedienti. Il senso di oppressione della protagonista cresce nel corso degli episodi, fino a esplodere nel confronto tra Yanky ed Esty nella loro camera da letto, dove l’intimità coniugale è sempre mancata, perché a letto con loro, metaforicamente, era presente sempre la famiglia di Yanky con tutti i suoi giudizi.
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Perché guardare Unorthodox?
È una scelta consapevole quella di Esty, rinunciare a un bagaglio di tradizioni che la opprime per poter essere libera, per scegliere cosa indossare, cosa leggere e chi amare. È rinvigorente osservare il cambiamento su Shira Haas nel corso degli episodi: dalla camminata curva, quasi ingobbita e frettolosa, che manteneva nelle strade di Williamsburg, al passo deciso ma calmo e, al contempo, energico, che adotta a Berlino.
Non è un cambiamento immediato, ma avviene lento e graduale, a partire da quando Esty era ancora a Brooklyn. Si manifesta poi con prepotenza, nella scena in cui la ragazza è immersa fino alla vita nell’acqua del lago Wannsee, lo stesso in cui sono stati trucidati numerosi ebrei europei, e si sfila la tradizionale parrucca per rivelare i capelli chiari rasati.
Unorthodox è potente, intenso e commovente, è una parabola sulla rinascita, sul coraggio, ma anche sul perdono e sull’amore, che vi lascerà senza fiato.
La miniserie è disponibile su Netflix, di seguito vi lasciamo il link al trailer