Vangelo e Meditazione della IV DOMENICA DI AVVENTO – ANNO A

Vangelo e Meditazione della IV domenica di Avvento

Vangelo e Meditazione della IV DOMENICA DI AVVENTO – 22 DICEMBRE – ANNO A a cura di Don Giacomo Equestre.

Gesù nascerà da Maria, sposa di Giuseppe, della stirpe di Davide.

Dal Vangelo secondo Matteo 1, 18-24

Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo.

Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto.

Però, mentre stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa.

Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati».

Tutto
questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per
mezzo del profeta: «Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a
lui sarà dato il nome di Emmanuele», che significa “Dio con noi”.

Quando
si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore
e prese con sé la sua sposa.

Parola
del Signore

Meditazione

Tra i testimoni d’Avvento e ci accompagnano al Natale, entra Giuseppe, uomo
giusto che sogna e ama, non parla e agisce.

Prima che andassero a vivere insieme Maria si trovò incinta.

Sorpresa assoluta della creatura che arriva a concepire l’inconcepibile, il proprio Creatore.

Qualcosa che però strazia il cuore di Giuseppe, che si sente tradito.

Ed entra in crisi: non volendo accusarla pubblicamente pensò di ripudiarla in segreto.

Vive il conflitto tra la legge di Dio che ribadisce più volte: toglierai di mezzo a te il peccatore e l’amore per quella giovane donna.

Giuseppe è innamorato di Maria, non
si dà pace, continua a pensare a lei.

Mentre stava considerando queste cose, ecco in sogno l’angelo… Giuseppe, mani indurite dal lavoro e cuore intenerito e ferito, non parla ma sa ascoltare i sogni che lo abitano: l’uomo giusto ha gli stessi sogni di Dio.

Giuseppe fece come gli aveva detto l’angelo, sceglie l’amore per Maria.

Giuseppe prende con sé Maria e il
bambino, quel figlio che non ha generato, di cui però sarà vero padre perché lo
amerà, lo farà crescere, lo farà felice, gli insegnerà il mestiere di uomo, e a
sognare, e a credere nell’amore. Giuseppe non ha sogni di immagini, ma sogni di
parole.

Un sogno di parole è offerto anche a tutti noi: è il Vangelo.

E sono offerti angeli: in ognuna delle nostre case Dio manda i suoi messaggeri, come in quella di Maria; invia sogni e progetti, come in quella di Giuseppe.

I nostri angeli non hanno ali, sono le persone che condividono con noi pane e amore; vivono nella nostra casa ma sono messaggeri dell’invisibile e annunciatori dell’infinito: angeli che nella loro voce portano il seme della Parola di Dio.

Vangelo e Meditazione di Don Giacomo Equestre

Foto: Rossi Pasqualino (1679), Sogno di San Giuseppe

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Vangelo e Meditazione della II^ DOMENICA DI AVVENTO-ANNO A

II DOMENICA DI AVVENTO - 15 DICEMBRE – ANNO A

Vangelo e Meditazione della II^ DOMENICA DI AVVENTO-ANNO A a cura di Don Giacomo Equestre

Dal Vangelo secondo Matteo 11,2-11

In quel tempo, Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò a dirgli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?».

Gesù rispose loro: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo.

E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!».

Mentre quelli se ne andavano, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto?

Una canna sbattuta dal vento?

Allora, che cosa siete andati a vedere?

Un uomo vestito con abiti di lusso?

Ecco, quelli che vestono abiti di lusso stanno nei palazzi dei re!

Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta?

Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta.

Egli è colui del quale sta scritto: “Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero, davanti a te egli preparerà la tua via”.

In
verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di
Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di
lui».

Parola
del Signore

Meditazione

Carissimi è proprio vero che c’è il rischio di innalzare chi non è da innalzare solo perché tutti gli corron dietro … in tanti sono corsi dietro a Giovanni il Battista, ma forse non per tutti era ben chiaro il messaggio della conversione.

Mi pare un po’ quello che accade con Papa Francesco: in tanti corrono dietro al personaggio, poi bisogna davvero vedere chi mette in pratica la sua parola.

Noi dietro a chi corriamo? oggi
Gesù direbbe: Ma chi siete andati a vedere a Piazza S. Pietro?

Un personaggio? 

Volevate riuscire nei selfie con lui?   

Avete fatto quasi a cazzotti per accaparrarvi il posto vicino alla transenna e non avete capito che quel messaggio era più importante dello stesso Papa Francesco!

Papa Francesco oggi è il nostro
Giovanni Battista: un profeta dei nostri tempi che non è capito come non lo fu
lo stesso Giovanni Battista.

Tuttavia, ricordate che qualunque profeta, anche dei nostri tempi, non sarà mai più importante delle vostre scelte.

Il profeta vi indica la strada e scompare. Anche Gesù disse lo stesso di   Giovanni Battista: il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui.

Questa frase sconcerta.

Perché è il più piccolo è più grande di lui?

Lui che aveva richiamato folle nel
deserto a battezzarsi come penitenza nel fiume Giordano!

Lui che aveva tante persone al suo
seguito, al punto da mandarne alcune a chiedere a Gesù se fosse lui il Messia e
Gesù gli risponde con i suoi stessi segni “miracolosi”.

Lui che era in carcere per aver
avuto il coraggio di denunciare la bigamia del suo stesso Re d’Israele Erode,
che aveva una donna che non era sua moglie.

Lui, che perderà la
“testa” – e la vita – a causa di una promessa fatta da Erode alla sua
compagna.

Ebbene sì, proprio lui, un grande
che è molto poco rispetto ad uno di noi che mette in pratica la parola di Gesù.

In un certo qual modo Gesù ci fa
capire che siamo profetici quando pratichiamo il Vangelo.

Se io metto in pratica il Vangelo,
se si vede nei fatti che sono cristiano, se la parola scomoda di Papa Francesco
che mi invita a vivere il Vangelo della misericodia la accolgo e la realizzo
nella mia vita, se non mi vergogno di essere un credente praticante, allora sì
che sono profetico, più di Giovanni.

Carissimo … non ti aspettare però la statua gigante, se sei profetico, ti tireranno le pietre o diranno che non vali nulla.

Te lo dico: fidati di ciò che sei perché vali di fronte a Dio non di fronte agli uomini.

E, soprattutto, non avere paura.

Vangelo e Meditazione di Don Giacomo Equestre

Foto: Ambito bergamasco sec. XV, Gesù Cristo indica San Giovanni Battista

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Vangelo e Meditazione della solennità IMMACOLATA–ANNO A

De Benedictis F. M. (1820 ca.), Dipinto Immacolata Concezione

Vangelo e Meditazione della solennità IMMACOLATA CONCEZIONE – 8 DICEMBRE – ANNO A a cura di Don Giacomo Equestre

Ecco, concepirai un figlio e lo darai alla luce.

Dal Vangelo secondo Luca 1,26-38

In
quel tempo, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea,
chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di
Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse:
«Rallègrati, piena di grazia: il Signore è con te».

A
queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto
come questo.

L’angelo
le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco,
concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e
verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di
Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non
avrà fine».

Allora
Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le
rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza
dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo
e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua
vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei,
che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio».

Allora
Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola».
E l’angelo si allontanò da lei.

Parola
del Signore

Meditazione

Oggi parlare di purezza, di bellezza, di verginità, di immacolatezza è molto molto raro.

La moda è tutt’altro che questi
termini. Anzi, quella ragazza che ha dichiarato in Tv di “essere
vergine” è stata derisa, additata come una “vecchia” che non
capisce niente della vita moderna.

E così, anche nella Chiesa, questa
triste ondata di finta modernità sta facendo presa anche sui cosiddetti
“cristiani” della domenica, al punto che in tanti non comprendono
appieno questa Solennità dell’Immacolata Concezione della Vergine Maria.

Per comprendere questa Solennità
bisogna partire da due dati:

1) situarci nell’orizzonte biblico
della nascita di Maria;

2) situarci nell’orizzonte della
cristianità fino ai nostri giorni.

Partiamo dal primo punto, Maria,
una ragazza di Galilea, riceve un annuncio particolare da parte di un angelo: è
stata scelta per essere la Madre di un bambino che non nascerà da concepimento
umano (da un rapporto coniugale uomo-donna) ma direttamente da Dio stesso.

Questo dato è fondamentale per
coprendere la Solennità odierna: Dio ha scelto questa donna per iniziare un
particolare piano, con la presenza sulla terra di un uomo-Dio, e quindi aveva
scelto questa donna sin dal suo concepimento, perché sarebbe stata chiamata ad
essere allo stesso tempo Madre di un uomo-Dio, quindi Madre di Dio, nonostante
di Dio si possa essere soltanto creature.

Secondo punto: Domanda: Maria, prescelta ed Immacolata sin dal concepimento, in
un certo qual modo “figlia di Dio di serie A” … e noi: figli di serie
B?  Assolutamente no.

Perché attraverso il Battesimo
anche noi diventiamo “come Maria”, cioè “immacolati”.

Ecco allora dove sta la “particolarità” di Maria: l’essere stata pre-scelta in quanto la prima destinataria dell’incontro intimo con Dio attraverso Gesù.

Maria, avendo concepito il Figlio di Dio è entrata in comunione con Lui attraverso la maternità e questa è avvenuta in un grembo già “immacolato”.

Noi entriamo in comunione con Dio attraverso il Battesimo ed i Sacramenti e se non fossimo anche noi “immacolati” non potremmo dirci uniti a Lui.

So che tutto questo è detto con un linguaggio “difficile” ai giorni
nostri, ma Maria, l’Immacolata, ci richiama ad una immacolatezza a cui siamo
chiamati tutti.

Troppo difficile essere puri,
essere santi, essere immacolati?   …   Eppure, nella sua grandissima Misericordia
il Padre continuamente ci fa la grazia di ritornare Immacolati.

Carissimi è tempo di riscoprire il Sacramento dell’Immacolatezza nostra: il sacramento della Riconciliazione. Quando sappiamo che siamo nel peccato è a rischio la nostra “Immacolatezza” e questa grande grazia ci fa diventare “come Maria”.

Oh Maria Immacolata, prega per noi, generazione che ha perduto il senso della bellezza e continua a parlarci come parlasti a Bernadette a Lourdes, dichiarandoti Immacolata Concezione in quel lontano 11 febbraio 1858!

Vangelo e Meditazione di Don Giacomo Equestre

Foto: De Benedictis F. M. (1820 ca.), Dipinto Immacolata Concezione

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Vangelo e Meditazione della I DOMENICA DI AVVENTO–ANNO A

Vangelo I DOMENICA DI AVVENTO – ANNO A

Vangelo e Meditazione della I DOMENICA DI AVVENTO – ANNO A a cura di Don Giacomo Equestre

Presero il figlio amato, lo uccisero e lo gettarono fuori della vigna.

Dal
Vangelo secondo Matteo 24,37-44

In
quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:

«Come furono i giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo.

Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti: così sarà anche la venuta del Figlio dell’uomo.

Allora due uomini saranno nel campo: uno verrà portato via e l’altro lasciato. Due donne macineranno alla mola: una verrà portata via e l’altra lasciata.

Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà.

Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa.

Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo».  

Parola
del Signore

Meditazione

Carissimi
è in questa vita ordinaria che si rivelerà un giorno il grande mistero del
ritorno di Gesù.

Ai tempi di Noè tutti vivevano
nell’ordinarietà e non si accorsero della grande pioggia che diventava diluvio
e che distruggeva tutto, ad eccezione di Noè e di quanto era nell’Arca.

E allora si pone il problema della consapevolezza: sono consapevole di questa vita che scorre nelle mie vene, nelle strade e nelle case del mio paese?

Sono consapevole che un giorno dovrò anche lasciare questa vita? Sono cosciente che nella vita tutto passerà?

Ho la coscienza che dovrò lasciare tutto?

Un giorno mi sarà chiesta anche la vita … ebbene come vivo oggi sapendo questo?

È solo vivendo con la
consapevolezza di non essere eterni su questa terra che possiamo essere pronti
al ritorno di Gesù.

Oggi inizia l’Avvento, tempo
particolare di presa di coscienza del fatto che non siamo eterni, ma
soprattutto del fatto che Gesù ritornerà e sarà la fine di questa storia, di
questa vita, per una vita diversa che oggi non mi è dato sapere.

Ah, io vorrei sapere tutto, il
futuro, mi rivolgo magari ai cartomanti, apro i giornali per andare alla pagina
degli oroscopi – toro, leone, acquario – eppure Gesù Cristo ha predetto il
futuro, che è nelle mani di Dio, per avvisarmi, per far sì che io sia pronto.

E però, volutamente non ci ha detto né il giorno e né l’ora: 1), perché lo sa solo Dio Padre e 2) perché dobbiamo essere sempre pronti.

E non fare come i topi, che quando il gatto non c’è si mettono a ballare, poi il gatto torna improvvisamente e se li mangia.

Esser pronti vale più che sapere il giorno e l’ora: esser pronti sempre. Anche nella vita ordinaria.

Anche mentre fai la spesa, lavi i piatti, prepari il tuo lavoro, ti metti a studiare, aggiusti la tua macchina, sei con gli amici davanti a un bicchiere di birra, stai festeggiando con i tuoi parenti, o sei afflitto perché hai saputo che quell’amico non ce l’ha fatta.

Essere pronti sempre, sapendo che Gesù non ha mai preso in giro nessuno!

E se siamo pronti, siamo sereni, tranquilli e pieni di gioia! Amen e buon Avvento a voi.

Vangelo e Meditazione di Don Giacomo Equestre

Foto: Tagliaferri L.E. (1865-1866), Diluvio Universale

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Vangelo e Meditazione della XXXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

Signore, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno.

Vangelo e Meditazione della XXXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – NOSTRO SIGNORE GESÚ CRISTO RE DELL’UNIVERSO – ANNO C – SOLENNITÀ a cura di Don Giacomo Equestre

Dal
Vangelo secondo Luca 23, 35-43

In
quel tempo, dopo che ebbero crocifisso Gesù, il popolo stava a vedere; i capi
invece deridevano Gesù dicendo: «Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il
Cristo di Dio, l’eletto».

Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell’aceto e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». Sopra di lui c’era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei».

Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!».

L’altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena?

Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male».

E
disse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». Gli rispose: «In
verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso».

Parola
del Signore

Meditazione

Se sei il Cristo, salva te stesso!

Sono scandalizzati gli uomini religiosi: che Dio è questo che lascia morire il suo Messia?

Si scandalizzano i soldati, gli uomini forti: se sei il re, usa la forza! Salvati. C’è forse qualcosa che vale più della vita?

Ebbene sì, risponde la narrazione della Croce, qualcosa vale di più, l’amore vale più della vita.

E appare un re che muore ostinatamente amando.

La
risurrezione è il sigillo che un amore così non andrà mai perduto.

Un
malfattore appeso alla croce gli chiede di non essere dimenticato e lui lo
prende con sé.

In quel
bandito raggiunge tutti noi, consacrando – in un malfattore – la dignità di
ogni persona umana: nella sua decadenza, nel suo limite più basso, l’uomo è
sempre amabile per Dio.

Proprio di Dio è amare perfino l’inamabile. Non ha meriti da vantare il ladro.

Ma Dio non guarda al peccato o al merito, il suo sguardo si posa sulla sofferenza e sul bisogno, come un padre o una madre guardano solo al dolore e alle necessità del figlio.

Ricordati
di me quando entrerai nel tuo regno. E Gesù non solo si ricorda, fa molto di
più: lo porta con sé, se lo carica sulle spalle: sarai con me!

E
mentre la logica della nostra storia sembra avanzare per esclusioni, per
separazioni, per respingimenti alle frontiere, il Regno di Dio è la terra nuova
che avanza per inclusioni, per abbracci, per accoglienza.

Le ultime parole di Cristo sulla croce sono tre parole regali, tre editti imperiali: oggi – con me – paradiso.

Oggi: adesso, subito; ecco l’amore che ha sempre fretta;

Con
me: mentre la nostra storia di conflitti si chiude in muri, frontiere e
respingimenti, il Regno di Dio germoglia in condivisioni e accoglimenti.

Nel
paradiso: quel luogo che brucia gli occhi del desiderio, quel luogo immenso e
felice che «solo amore e luce ha per confine».

E se
il primo che entra in paradiso è quest’uomo dalla vita sbagliata, allora non
c’è nulla e nessuno di definitivamente perduto, nessuno è senza speranza.

Le braccia del re-crocifisso resteranno spalancate per sempre, per tutti quelli che riconoscono Gesù come compagno d’amore e di pena, qualunque sia il loro passato: è questa la Buona Notizia di Gesù Cristo.

Vangelo e Meditazione di Don Giacomo Equestre

Foto: Ambito dell’Italia meridionale sec. XVII, Dipinto del buon ladrone

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Vangelo e Meditazione della XXXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO C

Vangelo e meditazione

Vangelo e Meditazione della XXXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO C a cura di Don Giacomo Equestre

Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita.

Dal Vangelo secondo Luca 21, 5-19

In
quel tempo, mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre
e di doni votivi, Gesù disse: «Verranno giorni nei quali, di quello che vedete,
non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta».

Gli domandarono: «Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?».

Rispose: «Badate di non lasciarvi ingannare.

Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: “Sono io”, e: “Il tempo è vicino”. Non andate dietro a loro!

Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine».

Poi
diceva loro: «Si solleverà nazione contro nazione e regno contro regno, e vi
saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche
fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo.

Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e governatori, a causa del mio nome.

Avrete allora occasione di dare testimonianza.

Mettetevi dunque in mente di non preparare prima la vostra difesa; io vi darò parola e sapienza, cosicché tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere.

Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; sarete odiati da tutti a causa del mio nome.

Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto.  Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita».

Parola
del Signore

Meditazione

Con
il suo linguaggio catastrofico il brano non racconta la fine del mondo, ma il
significato, il mistero del mondo. Se lo leggiamo attentamente notiamo che ad
ogni descrizione di dolore, segue un punto di rottura dove tutto cambia, un
tornante che apre l’orizzonte della speranza: non è la fine, alzate il capo, la
vostra liberazione è vicina.

Al di là di profeti ingannatori, anche se l’odio sarà dovunque, ecco quella espressione struggente: Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto.

Nel caos della storia lo sguardo del Signore è fisso su di me, non giudice che incombe, ma custode innamorato.

Il
Vangelo ci conduce sul crinale della storia: da un lato il versante oscuro
della violenza, il cuore di tenebra che distrugge; dall’altro il versante della
tenerezza che salva.

In
questa lotta contro il male, “con la vostra perseveranza salverete la
vostra vita”.

La
vita – l’umano in noi e negli altri – si salva con la perseveranza.

Non
nel disimpegno, nel chiamarsi fuori, ma nel tenace, umile, quotidiano lavoro
che si prende cura della terra e delle sue ferite, degli uomini e delle loro
lacrime … scegliendo sempre l’umano.

Perseveranza
vuol dire: non mi arrendo; nel mondo sembrano vincere i più violenti, i più
crudeli, ma io non mi arrendo.

Anche
quando tutto il lottare contro il male sembra senza esito, io non mi arrendo.
Perché so che il filo rosso della storia è saldo nelle mani di Dio.

Il
Vangelo si chiude con un’ultima riga di speranza: risollevatevi, alzate il
capo, la vostra liberazione è vicina.

In piedi, a testa alta, liberi: così vede i discepoli il Vangelo. Sollevate il capo, guardate lontano e oltre, perché la realtà non è solo questo che si vede: viene un Liberatore, un Dio esperto di vita.

Sulla terra intera e sul piccolo campo dove io vivo si scaricano ogni giorno rovesci di violenza, cadono piogge di menzogna e corruzione.

Che cosa posso fare? Usare la tattica del contadino.

Rispondere alla grandine piantando nuovi frutteti, per ogni raccolto di oggi perduto impegnarmi a prepararne uno nuovo per domani.

Seminare, piantare, attendere, perseverare vegliando su ogni germoglio della vita che nasce.

Vangelo e Meditazione di Don Giacomo Equestre

Foto: Küsel J. C.-Küsel M. M. (1688-1700), Gesù Cristo interrogato dai Sadducei

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Vangelo e Meditazione della XXXII DOMENICA T.O. – ANNO C

XXXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO C

Vangelo e Meditazione della XXXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO C a cura di Don Giacomo Equestre.

Dio non è dei morti, ma dei viventi

Dal Vangelo secondo Luca 20, 27-38

In quel tempo, si avvicinarono a Gesù alcuni sadducèi – i quali dicono che non c’è risurrezione – e gli posero questa domanda: «Maestro, Mosè ci ha prescritto: “Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello”.

C’erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli.

Allora la prese il secondo e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare figli.

Da ultimo morì anche la donna. La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie».

Gesù rispose loro: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio.

Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: “Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe”.

Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui».

Parola
del Signore

Meditazione

I sadducei
si cimentano in un racconto paradossale, quello di una donna sette volte vedova
e mai madre, e lo sottopongono a Gesù come caricatura della sua fede nella
risurrezione.

Lo
sappiamo: non è facile credere nella vita eterna  … 
forse perché la immaginiamo come durata indefinita, anziché come
intensità e profondità, come infinita scoperta di cosa significhi amare con il
cuore stesso di Dio.

L’unica
eternità in cui i sadducei credono è la sopravvivenza del patrimonio genetico
della famiglia, così importante da giustificare il passaggio di quella donna di
mano in mano, come un oggetto: «si prenda la vedova  … 
allora la prese il secondo e poi il terzo e così tutti e sette».

Il
loro linguaggio non è sfiorato neppure da un’ombra di amore, ma riduce la carne
dolorante e luminosa della vita a uno strumento, una cosa da adoperare per i
propri fini.

Gesù
non ci sta, e alla loro domanda banale – di quale dei sette fratelli sarà
moglie quella donna? – contrappone un intero mondo nuovo: Quelli che risorgono
non prendono né moglie né marito.

Gesù
non dice che finiranno gli affetti e il lavoro gioioso del cuore, anzi, l’unica
cosa che rimane per sempre, ciò che rimane quando non rimane più nulla, è
l’amore.

I
risorti non prendono moglie o marito, e tuttavia vivono la gioia di dare e
ricevere amore: su questo si fonda la felicità di questa e di ogni vita. Perché
amare è la pienezza dell’uomo e di Dio.

E ciò
che vince la morte non è la vita, è l’amore.

E
finalmente nell’ultimo giorno, a noi che abbiamo fatto tanta fatica per
imparare ad amare, sarà dato di amare con il cuore stesso di Dio.

I
risorti saranno come angeli. Ma che cosa sono gli angeli? Creature un po’
evanescenti e incorporee del nostro immaginario romantico?

O non
piuttosto, biblicamente, annunciatori di Dio (Gabriele), forza di Dio
(Michele), medicina di Dio (Raffaele)? Occhi che vedono Dio faccia a faccia,
presenti alla Presenza?

Il Signore è Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe. Dio non è Dio di morti, ma di vivi. In questa preposizione «di» ripetuta 5 volte è racchiuso il motivo ultimo della risurrezione, il segreto dell’eternità.

Una sillaba che dice: Dio appartiene a loro, loro a Dio.

Così totale è il legame, che il Signore non può pronunciare il proprio nome senza pronunciare anche quello di coloro che ama.

Questo Dio di uomini vive solo se io e tu vivremo, per sempre, con Lui.

Vangelo e Meditazione di Don Giacomo Equestre

Foto: Küsel J. C.-Küsel M. M. (1688-1700), Gesù Cristo interrogato dai Sadducei

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Vangelo e Meditazione della XXXI DOMENICA DEL T. O. – ANNO C

Il Figlio dell’uomo era venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto.

Vangelo e Meditazione della domenica a cura di Don Giacomo Equestre

Il Figlio dell’uomo era venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto.

Dal Vangelo secondo Luca 19, 1-10

In quel tempo, Gesù entrò nella città di Gèrico e la stava attraversando, quand’ecco un uomo, di nome Zacchèo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, perché era piccolo di statura.

Allora corse avanti e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomòro, perché doveva passare di là.

Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: «Zacchèo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua».

Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia. Vedendo ciò, tutti mormoravano: «È entrato in casa di un peccatore!».

Ma Zacchèo, alzatosi, disse al Signore: «Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto».

Gesù gli rispose: «Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch’egli è figlio di Abramo.

Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto».

Parola
del Signore

Meditazione

Il vangelo ci riporta la conversione di Zaccheo.

Quest’uomo è una pecora perduta, è disprezzato, è uno “scomunicato”, perché è il capo dei pubblicani, amico dei  romani, un ladro e uno sfruttatore. 

Impedito dall’avvicinarsi a Gesù, probabilmente a motivo della sua cattiva fama, ed essendo piccolo di statura, Zaccheo si arrampica su un albero, per poter vedere il Maestro.

Zaccheo stesso non sa il
senso profondo del suo gesto, nemmeno osa sperare che possa essere superata la
distanza che lo separa dal Signore; si rassegna a vederlo solo di passaggio.

Ma Gesù, quando arriva vicino a quell’albero, lo chiama per nome: «Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua».

Quell’uomo piccolo di statura, respinto da tutti è chiamato da Gesù.

E Gesù va nella casa di Zaccheo, suscitando le critiche di tutta la gente di Gerico che diceva: – Ma come? Con tutte le brave persone che ci sono in città, va a stare proprio da quel pubblicano? Sì, perché lui era perduto; e Gesù dice: «Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch’egli è figlio di Abramo».

In casa di Zaccheo, da quel giorno, entrò la gioia, entrò la pace, entrò la salvezza, entrò Gesù.

C’è questo dialogo meraviglioso: “Zaccheo, scendi: oggi vengo a casa tua”. A casa mia, Signore? Ma io sono …  Zaccheo, scendi! Signore ma questa gente …  Lascia stare, Zaccheo! Io sono colui che abbandona novantanove pecore nell’ovile e cerca la pecora smarrita: Io sono venuto per i peccatori.                

E Cristo entra nella casa di Zaccheo. E che cosa accadde in Zaccheo? Che cosa accadde nella casa del suo cuore? L’incontro vero con Cristo.

Zaccheo capisce il dono di
Cristo, è sconvolto, perché tutto gli appare incredibile; Zaccheo capisce
l’amore gratuito di Dio e si rende conto che l’Amore di Dio aspetta una
risposta: una risposta d’amore!

E allora? Ecco la sua
decisione:” Signore, io do la metà dei mie beni ai poveri e se ho frodato
qualcuno, restituisco quattro volte tanto”.

E la risposta di Cristo: “Oggi la salvezza è entrata in questa casa, perché anch’egli è il figlio di Abramo.

Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto.

“Dio ricorda”,
sempre, non dimentica nessuno di quelli che ha creato; Lui è Padre, sempre in
attesa vigile e amorevole di veder rinascere nel cuore del figlio il desiderio
del ritorno a casa.

“Lasciamoci anche noi
chiamare per nome da Gesù! Nel profondo del cuore, ascoltiamo la sua voce che
ci dice: “Oggi devo fermarmi a casa tua”, cioè nel tuo cuore, nella
tua vita.

Accogliamolo con gioia: Lui può cambiarci, può trasformare il nostro cuore, può liberarci dall’egoismo e fare della nostra vita un dono d’amore. Gesù può farlo; lasciati guardare da Gesù!”.

Anche per noi c’è l’incontro con Cristo Signore.

Una domanda: riesco a prendere una decisione vera di cambiare vita come ha fatto Zaccheo?

In questo senza scoraggiarsi …  il perdono di Dio dà la forza di cambiare il cuore e la vita.

Nulla è impossibile all’amore di Dio.

Archivo Meditazioni di Don Giacomo Equestre

Foto: Ambito lombardo sec. XVIII, Vocazione di Zaccheo

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Vangelo e Meditazione Solennità Tutti i Santi

Vangelo e meditazione solennità Tutti i Santi

Vangelo e Meditazione della Solennità Tutti i Santi a cura di Don Giacomo Equestre

Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli.

Dal Vangelo secondo Matteo 5,1-12

In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a
sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava
loro dicendo:

«Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.

Beati quelli che sono nel pianto,
perché saranno consolati.

Beati i miti, perché avranno in
eredità la terra.

Beati quelli che hanno fame e
sete della giustizia, perché saranno saziati.

Beati i misericordiosi, perché
troveranno misericordia.

Beati i puri di cuore, perché
vedranno Dio.

Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.

Beati i perseguitati per la
giustizia, perché di essi è il regno dei cieli.

Beati voi quando vi
insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro
di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra
ricompensa nei cieli».

Meditazione

Il Vangelo delle beatitudini ci indica la Via
ed è necessario che noi meditiamo sulla Sua Parola.

«Beati i poveri in spirito perché di essi è il regno dei cieli».

La prima beatitudine non distrugge il valore delle cose del tempo ma mette l’accento sul bene dell’anima che, creata da Dio per ciascun uomo, ci rende consapevoli che passa tutto ciò che è del tempo ed usato alla luce della fede e della speranza, anticipa il possesso e la beatitudine che sarà piena nell’eternità della vita.

«Beati quelli che sono nel pianto».

La sofferenza fa parte della vita sulla terra e accettarla quando non la si può rimuovere è partecipare alla croce di Cristo e alla gioia della Sua resurrezione.

«Beati i miti».

La mitezza non è pusillanimità o debolezza ma forza dello spirito che rende l’uomo sereno nelle difficoltà e soprattutto è testimonianza di fede in Dio ed amore verso il prossimo.

«Beati quelli che hanno fame e sete della
giustizia
». La fame e la sete indicano l’impegno che il cristiano deve
avere per portare nel mondo la vera giustizia che è solo di Dio.

«Beati i misericordiosi». La bellezza
del perdono è partecipazione alla misericordia del Signore, riconoscimento
della propria fragilità ed indice di grandezza d’animo.

«Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio».

La purezza di cuore, molto più forte della purezza del corpo e dei sensi, indica il desiderio di avvicinarsi a Dio, purezza e bellezza eterna, accresce la fede ed in un empito di amore anticipa la gioia della vita eterna.

«Beati gli operatori di pace».

La vera pace viene da Dio e non è quella che dà il mondo, ecco perché chi la realizza nel mondo è a buona ragione chiamato figlio di Dio.

«Beati i perseguitati per la giustizia».

Portare la giustizia nel mondo è stato sempre difficile perché gli uomini cedono spesso al compromesso per il proprio interesse, ma presso Dio non c’è accezione di persone.

Il cristiano deve avere il coraggio, anche se gli costa, di operare secondo la volontà di Dio.

 L’ultima
beatitudine dice agli apostoli e ad ogni cristiano che vale la pena perdere il
mondo intero ma non rinunciare alla fede, alla speranza ed all’amore di Dio.

Amen

Archivo Meditazioni di Don Giacomo Equestre

Foto: Ambito bergamasco sec. XVI, Pala di Ognissanti

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Vangelo e Meditazione della XXX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

Vangelo e Meditazione della XXX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO C a cura di Don Giacomo Equestre

Vangelo secondo Luca 18, 9-14

Il pubblicano tornò a casa giustificato, a differenza del fariseo.

In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: «Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano.

Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”.

Il
pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al
cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”.

Io vi
dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché
chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».  

Parola
del Signore

Meditazione

Due uomini vanno al tempio
a pregare. Uno, ritto in piedi, prega ma come rivolto a se stesso: «O Dio, ti
ringrazio perché non sono come gli altri uomini, rapaci, ingiusti, impuri…».

Inizia con le parole
giuste  … parole di lode e
ringraziamento. Ma mentre a parole si rivolge a Dio, il fariseo in realtà è
centrato su se stesso, stregato da una parola di due sole lettere, che non si
stanca di ripetere, io: io ringrazio, io non sono, io digiuno, io pago.

Ha dimenticato la parola
più importante del mondo: tu. Pregare è dare del tu a Dio.

«Io non sono come gli altri»: e il mondo gli appare come un covo di ladri, dediti alla rapina, al sesso, all’imbroglio.

Carissimi, non si può pregare e disprezzare, non si può lodare Dio e demonizzare i suoi figli.

In questa parabola, Gesù ha il coraggio di denunciare che la preghiera può separarci da Dio, può renderci “atei”, mettendoci in relazione con un Dio che non esiste, che è solo una proiezione di noi stessi.

Sbagliarci su Dio è il peggio che ci possa capitare, perché poi ci si sbaglia su tutto, sull’uomo, su noi stessi, sulla storia, sul mondo.

Il pubblicano ci insegna a
non sbagliarci su Dio e su noi: fermatosi a distanza, si batteva il petto
dicendo: «O Dio, (tu) abbi pietà di me peccatore».

C’è una piccola parola che cambia tutto nella preghiera del pubblicano e la fa vera: «tu».

Parola cardine del mondo: «Signore, tu abbi pietà».

E mentre il fariseo costruisce la sua religione attorno a quello che egli fa per Dio (io prego, pago, digiuno…), il pubblicano la costruisce attorno a quello che Dio fa per lui (tu hai pietà di me peccatore) e si crea il contatto: un io e un tu entrano in relazione.

Il pubblicano è perdonato non perché migliore o più umile del fariseo (Dio non si merita, neppure con l’umiltà), ma perché si apre, si apre alla misericordia, a questa straordinaria debolezza di Dio che è la sua unica onnipotenza, la sola forza che ripartorisce in noi la vita.

Archivo Meditazioni di Don Giacomo Equestre

Foto: Beghè D. (1931), Il fariseo e il pubblicano

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