Liverpool: sulle note di quattro ragazzi che cambiarono il mondo. Agli albori degli anni Sessanta, una città inglese, fino ad allora sconosciuta ai più, si trasformò nella capitale mondiale del rock. Lungo le sponde del fiume Mersey echeggiavano le melodie di innumerevoli gruppi musicali che si esibivano ogni sera in un locale fumoso, chiamato Cavern.
Un luogo intriso di passione e sogni, proprio come quei “locali a cui dai del tu” cantati da Ligabue in “Certe notti”. Il sogno di quei ragazzi era quello di raggiungere la fama di Elvis o Chuck Berry. Quattro di loro, tuttavia, riuscirono nell’impresa. E così, Liverpool, da semplice città portuale, divenne una meta di pellegrinaggio per tutti gli appassionati di musica rock.
Un regalo speciale, fatto con il cuore
Un viaggio, dono prezioso della mia dolce metà, a Liverpool, la città dei Beatles. Qualche mese fa, Aprile 2024. Una scarica di energia pura come la musica di John, Paul, George e Ringo.
Il viaggio
Un segno tangibile di come la musica dei Beatles abbia trasformato l’immagine di Liverpool, rendendola una destinazione imperdibile per i fan della band, è il nome dell’aeroporto che accoglie i viaggiatori, il John Lennon Airport.
Matthew Street- Cavern Club
Il nostro tour nella Liverpool dei Beatles inizia a Mathew Street. Qui ci accoglie un John Lennon di bronzo, appoggiato con aria sorniona ad un muro. E’un opera di David Webster, una scultura in fibra di vetro. Sembra quasi scrutare curiosamente i giovani che passeggiano in strada e si accingono ad entrare nel mitico Cavern Club.
Cavern
Nato nel 1957 dalle ceneri di una cantina di un magazzino di frutta e poi ex-rifugio bellico, questo scantinato a volta di mattoni fu trasformato in un club ispirato ai locali parigini, dove echeggiavano le note del jazz.
Qui, tra mura umide e grezze, i Quarrymen di John Lennon, un giovane Paul McCartney, e poi i Beatles al completo, affinarono il loro sound, conquistando il pubblico con il loro sound travolgente. Fu in questo luogo mitico che Brian Epstein li vide per la prima volta, dando inizio a un sodalizio che avrebbe cambiato il corso della musica pop.
Il Cavern originale, purtroppo, chiuse nel 1973, ma la sua anima non si spense. E così, nel 1984, Tommy Smith, ex giocatore del Liverpool, decise di ricostruire il locale, utilizzando gli stessi mattoni e le stesse pietre, a pochi metri dalla sua posizione originale.
Anche in questo caso, la nuova gestione fu costretta a chiudere nel 1989. Ma la passione per la musica ebbe la meglio, e due anime musicali, Bill Heckle, un insegnante, e Dave Jones, un tassista, unirono le forze riportarando in vita il Cavern Club.
Oggi, il Club è un luogo di pellegrinaggio per gli amanti della musica di tutto il mondo. Le pareti sono tappezzate di foto, poster e cimeli che raccontano la storia del club e dei suoi protagonisti. Sul palco, ogni sera, si esibiscono band tributo e giovani musicisti, mantenendo viva la fiamma della Merseybeat.
Proprio di fronte al leggendario Club, si trova il Cavern Pub, un luogo che non solo offre un’immersione totale nell’atmosfera beatlesiana ma svela anche un importante pezzo della storia culinaria e linguistica di Liverpool.
Il termine “scouse”. Questa parola indica sia l’accento dialettale di Liverpool, sia un piatto tipico della tradizione locale.
Lo “scouse”, infatti, è uno stufato a base di carne o pesce stracotto con verdure. In origine un piatto povero, consumato dai marinai e dalla gente comune. Il suo nome deriva dall’abbreviazione di “lobscouse”, un vocabolo di origine scandinava.
Attualmente la pietanza è un simbolo di orgoglio per i cittadini di Liverpool, un piatto che rappresenta la loro storia e la loro identità. E al Cavern Pub, si può gustare questa specialità, immergendosi appieno nell’atmosfera
Strawberry Fields e Penny Lane
La maggior parte dei tour guidati, alla scoperta dei luoghi beatlsiani ( molti situati fuori dal centro cittadino), partono dall’Albert Dock ( gli ex magazzini portuali). Per un’esperienza ancora più coinvolgente, è possibile scegliere il Magical Mystery Tour, a bordo dell’iconico autobus giallo che ha ispirato l’omonimo film dei Beatles.
Immaginate di salire a bordo di un autobus speciale, con le note di “A Hard Day’s Night” e “Ticket to Ride” in sottofondo. Un simpatico signore inglese di 60 anni, con barba e capelli lunghi, che sembra uscito direttamente dagli anni ’60 vi accoglie e vi inizia a raccontare come sono nate alcune delle canzoni più famose del mondo. E proprio mentre vengono raccontante storie incredibili, ascoltiamo dall’amplificatore stereo dell’autobus, una canzone, un brano che tutti hanno ascoltato almeno una volta nella vita.
“Is in my ears and in my eyes“
La prima tappa è Penny Lane, la via dove Paul e John si incontravano per prendere l’autobus e andare in centro. Oggi è una strada tranquilla, che conserva ancora alcuni luoghi citati nel brano, come il negozio di barbiere e gli uffici della banca.
ll processo creativo di “Penny Lane” iniziò nel dicembre 1966, con un viaggio immaginario nel quartiere di Liverpool che ispirò il testo. La canzone, un vivido esempio di pop psichedelico, si contrappone all’incertezza malinconica di “Strawberry Fields Forever” di Lennon, mettendo in luce le diverse anime dei due compositori.
La registrazione di “Penny Lane” iniziò con la sovraincisione di quattro parti all’unisono, e da li gli accordi di pianoforte, caratteristica distintiva di McCartney. Successivamente, flauti, trombe, oboi e corni inglesi furono aggiunti alla traccia, creando un risultato sonoro straordinariamente ricco e complesso. Nel frattempo, tutti dalla strada ci salutano, e sembra di essere nel videoclip ufficiale sessant’anni dopo, una differenza degna di un film di fantascienza come “ritorno al futuro”.
“let me take you down“
Il tour continua a Woolton, dove si trova uno dei più amati landmark beatlesiani: il leggendario Strawberry Fields.
Lennon amava questo luogo.
Un tempo orfanotrofio, il giardino con la sua famosa cancellata rossa, era il rifugio del piccolo e poi adolescente John. Li vi trascorreva le estati, tra idee e giochi di fantasia. Purtroppo, l’edificio originale, quello che John conosceva, non esiste più. Fu demolito e ricostruito in dimensioni più piccole nei primi anni ’70.
L’atmosfera che potete respirare in quel luogo è la stessa che ascoltate in opere straordinarie come “Sgt. Pepper’s lonely hearts club band” ( non a caso, il brano “strawberry fields forever” fa parte del gruppo delle sedici canzoni registrate durante la sessione di lavoro per il concept album). Un atmosfera psichedelica, onirica, che ti trasporta in contesti simili alla musica descrittiva di metà ottocento di epoca romantica.
Dove abitavano i Bealtes
Il nostro tour in autobus sulle tracce dei Beatles ci porta a Mendips. Mentre siamo fermi davanti ad una villetta, la nostra guida scende dall’autobus e, con un gesto inaspettato, stacca una foglia da un albero del giardino. Ce la porge con un sorriso, invitandoci a custodirla gelosamente come un souvenir speciale di questo luogo magico.
E’ la villetta bifamiliare dove John Lennon trascorse gran parte della sua infanzia e adolescenza.
John arrivò a Mendips nel 1946, quando aveva solo cinque anni, e vi rimase fino al 1963, quando ormai era un giovane adulto di ventidue anni. Qui, sotto le cure di zia Mimi e zio George, coltivò la sua passione per la musica e mosse i primi passi verso la composizione.
La casa, riconosciuta come patrimonio storico nel 2000, fu acquistata e restaurata da Yoko Ono, per donarla al National Trust. Oggi, Mendips è un luogo di pellegrinaggio per i fan dei Beatles, che possono ammirare la casa così come era negli anni ’50, quando John ci viveva.
Proseguiamo verso Allerton, al numero 20 di Forthlin Road. Altra villetta a schiera tipica di queste parti. Qui, Paul McCartney trascorse la sua adolescenza, in un’abitazione che vide nascere non solo il suo talento, ma anche l’amicizia e la collaborazione con John Lennon.
La famiglia McCartney si trasferì in questa casa nel 1955. E così, quella stanzetta all’ingresso, piccola e senza pretese, si trasformò in un santuario della musica. Si dice che proprio lì, tra quelle quattro mura, Paul e John abbiano dato vita a melodie che avrebbero fatto sognare il mondo intero. “Love Me Do”, “I Saw Her Standing There.
Erano ragazzi, spensierati e pieni di sogni. Spesso marinavano la scuola per rifugiarsi in quella casa, dove la musica era l’unica cosa che contava davvero. E quando Paul non trovava le chiavi? Beh, mica si perdeva d’animo! Si arrampicava sul retro, lungo il tubo della grondaia, e sgusciava dentro dalla finestra del bagno, sempre lasciata socchiusa apposta. E poi, giù di corsa ad aprire la porta a John, che arrivava carico di chitarre.
E anche se i McCartney se ne andarono, quella casa, quella strada, restano nel cuore di tutti quelli che amano i Beatles.
Dopo aver esplorato le dimore di Lennon e McCartney, ci dirigiamo verso la casa di George Harrison.
Era il gennaio del 1950. Una famiglia si trasferisce in una nuova casa a Speke, al numero 23 di Upton Green. Tra loro c’è un ragazzino di nome George, che in quella casa scoprirà la sua passione per la chitarra. La sua famosa chitarra che piange dolcemente “while my guitar gently weeps”. Ogni mattina, George saliva a bordo dell’autobus numero 86 per andare a scuola. E proprio su quell’autobus, un giorno, incontrò Paul McCartney.
Infine Il tour alla scoperta dei luoghi d’infanzia dei Beatles non poteva concludersi senza una visita alla casa natale di Ringo Starr.
Mentre l’autobus ci porta verso Admiral Grove al numero 10, sempre attraverso le casse dello stereo dell’autobus, le note di “With a Little Help from My Friends” riempiono l’aria. È la voce di Ringo, un po’ roca, un po’ ironica, che ci accompagna in questo pellegrinaggio In un piccolo appartamento, in questa specie di “vicolo industriale”, dopo la separazione dei genitori, Ringo visse fino al 1963. Da quella strada partì il ritmo che avrebbe cambiato il senso della batteria nella musica pop.
Siamo pronti per rientrare alla base all’Albert dock.
Bealtes Story
Allestito all’interno del complesso del Royal Albert Dock, si trova il The Beatles Story, un museo esclusivo che raccoglie la più vasta collezione al mondo di oggetti ed opere dedicate al mondo dei mitici “fab 4 In uno spazio coloratissimo possiamo ammirare di tutto, foto, disegni, spartiti ed addirittura l’ultimo pianoforte appartenuto a John Lennon!
La mostra ci trasporta, seguendo i Beatles dalle loro origini fino alla conquista del mondo. Riviviamo i momenti chiave della loro carriera: l’elettrizzante debutto all’Ed Sullivan Show che li consacrò negli Stati Uniti, l’energia contagiosa dei loro film, la riproduzione gigante della copertina di Sgt. Pepper’s, l’inno pacifista “All You Need is Love” e tante altre chicche.
Attraverso repliche fedeli e tecnologie immersive, la mostra ci catapulta nell’atmosfera vibrante dei primi anni ’60. Ci ritroviamo al Casbah Club, dove i giovani fab four muovevano i primi passi, e percorriamo le strade di Mathew Street e Abbey Road, luoghi simbolo della loro ascesa.
Le audioguide, disponibili in diverse lingue, ci accompagnano in questo viaggio, raccontando aneddoti e curiosità su ogni tappa del loro percorso. Scopriamo il Casbah Club, il luogo dove tutto ebbe inizio, descritto da Paul McCartney come il loro “club personale”.
Qui, nel seminterrato della casa di Pete Best, i Beatles affinarono il loro talento, suonando centinaia di volte davanti a un pubblico sempre più numeroso. Poi ci spostiamo ad Amburgo, dove la band, intraprese una serie di concerti che li trasformarono in veri e propri showmen. Le fotografie di quel periodo li ritraggono giovani e grintosi, vestiti con giubbotti di pelle, pronti a conquistare il mondo.
Al ritorno a Liverpool, i Beatles erano ormai delle star. Il movimento Merseybeat era in piena espansione e la band ne era diventata il simbolo. La mostra ci permette di rivivere l’emozione di un concerto al Cavern Club. Importante tappa è quella in cui entriamo negli uffici del Beatles Fan Club, dove Brian Epstein, il loro futuro manager, incontrò la band per la prima volta. La mostra è un’esperienza coinvolgente e travolgente, un invito a riscoprire la magia di un’epoca indimenticabile.
“Three Graces”
Dopo aver lasciato il Beatles Story Museum, con la testa ancora piena di musica e ricordi, ci dirigiamo verso le “Three Graces”, i maestosi palazzi che dominano lo skyline di Liverpool. E lì, all’improvviso, vediamo John, Paul, George e Ringo, immortalati in una statua di bronzo, mentre camminano insieme, sorridenti.
Realizzata da Andrew Edwards e inaugurata nel dicembre 2015, questa opera d’arte, è un tributo al cinquantesimo anniversario dell’ultimo concerto a Liverpool. Li ritrae mentre camminano, ammirando il panorama intorno a loro. Un’immagine che cattura l’essenza della band e il loro legame indissolubile con la città.
Impossibile resistere alla tentazione di scattare una foto con i quattro al completo.
Da visitare almeno una volta nella vita.
Ovviamente, è impossibile raccontare tutto in un solo articolo. C’è ancora tutta la storia di Eleanor Rigby e Padre McKenzie. Due anime, simboli di solitudine. C’è pure una panchina a Liverpool dedicata a loro. E pensate, proprio nei dintorni della chiesa di St.Peter a Woolton, dove John e Paul si sono incontrati per la prima volta, c’è anche la tomba della vera Eleanor Rigby. Due storie che si incrociano: quella di una solitudine senza fine e quella di un’amicizia che ha fatto nascere la musica più bella del novecento.
Da Liverpool sicuramente andiamo via portando non solo souvenir, plettri a tema e t-shirt, ma anche un pezzo di quella magia, quell’assaggio di emozione che si prova a camminare sulle orme dei Beatles, a respirare l’aria che ha ispirato le loro canzoni.
Un’esperienza unica, una tappa fondamentale per tutti gli amanti della musica. Da visitare almeno una volta nella vita.
FONTI BIBLIOGRAFICHE
- Visita Guidata Hop on Hop off “city explorer” Bealtes Tour
- Guida interattiva del Beatles Story
- Ezio Guaitamacchi- Atlante Rock – Viaggio nei luoghi della musica (Hoepli, 2016)
- Chris Ingham- The Rough Guide to the Beatles – (Rough Guides limited, 2009)
- “lobscouse” su Oxford English Dictionary
- Desidero esprimere la mia più sincera gratitudine al Professor Michelangelo Iossa, insigne esperto dei Beatles, per gli illuminanti e preziosi consigli condivisi.