Dal 9 gennaio è nelle sale Hammamet, film di Gianni Amelio sulla fine di uno degli uomini politici più controversi del nostro Paese. Tra le uscite più attese di questo periodo, insieme, ad esempio, al Pinocchio di Garrone.
Tunisia, fine del secolo scorso. Dopo l’inchiesta Mani Pulite Bettino Craxi (Pierfrancesco Favino) si rifugia nella sua casa privata a Hammamet, con la sola compagnia di sua moglie (Silvia Cohen) e sua figlia (Livia Rossi). Lì, una notte, arriva un giovane in fuga: si tratta di Fausto (Luca Filippi), figlio di un compagno di partito morto suicida. A lui, il Presidente affiderà i suoi segreti mai rivelati.
Non è un flm politico. Non è un film (solo) su Craxi. Se farete attenzione durante i 126′ e guarderete i titoli di coda, noterete che il nome di Bettino Craxi, così come quello degli altri intorno a lui, non verrà mai pronunciato. Questo anonimato mostra lo sguardo distaccato con cui Amelio ha cercato di raccontare la vicenda umana di un uomo che ha segnato la storia dell’Italia. Mentre i momenti della politica di allora sono presentati per sprazzi: un gioco di soldatini, un’ immagine alla TV, lanci di insulti come lanci di monetine.
Chi era Craxi?
Un “maleducato, manigoldo, malfattore, malvivente e maligno” o un uomo di grande cultura “circondato da nani”? Gianni Amelio non ci dà una risposta, ma porta sullo schermo entrambi questi aspetti del personaggio. Le President, come lo chiamano riverenti i tunisini, è un uomo che non nasconde i propri vizi, le amanti (l’ultima, Patrizia Caselli, ha il volto di Claudia Gerini nel film), che non rifugge dalle accuse mosse (“Mi dispiace dirlo, ma la democrazia ha un costo”), ma dalle sentenze emanate contro di lui. Eppure, è un uomo colto, come dimostrano i libri e i giornali sparsi sul tavolo, la lezione di storia al nipotino, un uomo dotato di compassione umana.
Favino e gli altri
Spicca su tutti Pierfrancesco Favino, un gigante nel panorama di attori italiani. Grazie anche all’uso sapiente del makeup, riesce a calarsi nel ruolo di Craxi alla perfezione. Gesti, parole, il tono della voce persino, tutto è reso con incredibile somiglianza e cura. Livia Rossi è Anita/Stefania, l’amorevole figlia, prode guerriera, la Cordelia del vecchio Re Lear/Craxi, tutta sguardi di fuoco e lingua tagliente. Luca Filippi è un malinconico (fin troppo) e, a volte, inespressivo Fausto, angelo vendicatore del padre, a cui malgrado tutto Craxi si affeziona e al quale racconta i suoi incoffessabili segreti.
Garofani rossi e caducità
C’è il trionfo iniziale nel film: il 45 Congresso del PSI, una fabbrica stracolma di persone, il volto di Craxi proiettato su uno schermo triangolare, come l’occhio di Dio sulle banconote americane, ma è solo apparenza, un vetro opaco dietro cui si nasconde l’inizio del declino. E Amelio ci mostra, infatti, poco dopo, gli stendardi rossi che vengono tirati giù e i garofani a terra, quasi sfioriti.
Il declino di un uomo potente, che non si rassegna a essere dimenticato – non ci sono giornalisti fuori alla sua camera in ospedale – e muore, in solitudine, ucciso dalla malattia e dal rancore.
Nonostante l’ottima interpretazione degli attori, la sceneggiatura e una splendida fotografia, il film non riesce a decollare del tutto. Eccesivamente lungo e lento in alcuni punti, scalfisce appena la superficie della storia (politica e non) del personaggio, ma non la infrange con forza e un pizzico di malizia, come fa il Craxi bambino con il vetro di una finestra.
Qui di seguito potete guardare il trailer del film