La pandemia da Covid 19 ha cambiato la nostra quotidianità e non solo. Da oltre un anno il nostro rapporto con il digitale, che è stato cruciale per comunicare durante le fasi più critiche, è cambiato. Abbiamo imparato a convivere con un nemico invisibile che evolve senza curarsi delle conseguenze che lascia dietro sé, poi c’è stato l’avvento delle varianti. A ogni nuova mutazione era come iniziare punto e accapo perché il suo continuo sviluppo non sempre ci consente di fare ipotesi. Basti pensare che la sola mutazione di pochissimi aminoacidi, parte integrante delle sequenze geniche, può originare nuove forme virali.
Nel gennaio 2021, ad esempio, la dottoressa Wenjuan Zhang e il suo gruppo di ricerca dell’Università di Warwick hanno individuato una nuova variante del SARS-CoV-2, localizzata a sud della California: la Epsilon. Il 44% (37 su 85) dei campioni esaminati hanno riportato tale mutazione. Nonostante l’aggravamento dei sintomi respiratori, i vaccini restano la migliore arma a disposizione contro il Covid 19. I test condotti su campioni di soggetti in Brasile, Regno Unito, Sud Africa e Stati Uniti ne dimostrano l’efficacia nel prevenire la contrazione di forme letali e l’ospedalizzazione. Anche se il plasma dei soggetti che hanno contratto il virus sembra essere più potente, il siero dei vaccinati mostra comunque un’ottima capacità nel limitare l’infezione.
Covid 19: come uscirne?
La complessità nel definire le singole mutazioni e nel ricordarne i nomi scientifici ha reso necessaria la creazione di una nomenclatura. Un progetto su cui ha lavorato l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Ogni variante è stata identificata con una lettera greca nell’intento di abbattere stigmi e nuove potenziali forme di “xenofobia”.
Slegare il virus dal contesto geografico ha consentito anche di mettere meglio a fuoco lo sviluppo dell’emergenza sanitaria. Sono diverse le mutazioni del Covid 19 che hanno iniziato a susseguirsi verso la fine del 2020 e sin dalla prima, la scienza non ha mai smesso di perfezionare i vaccini. Una delle più aggressive, la variante Alpha, presentava un rischio di trasmissione tra il 30% e l’80% e i più alti livelli di RNA virale a livello nasofaringeo. Il suo ingresso in scena nell’ottobre 2020 si temeva potesse vanificare gli sforzi di mesi nella creazione dei vaccini. L’esame dei campioni di soggetti vaccinati e, ancora una volta i test, ne hanno confermato l’efficacia nella prevenzione di gravi forme d’infezione e ospedalizzazione.