Vai Mo’, è il quarto album di Pino Daniele registrato con la band Supergruppo (così chiamata), composta da Tullio De Piscopo (alla batteria), Rino Zurzolo (al basso), Joe Amoruso (tasterista), Tony Esposito (alle percussioni) e James Senese (al sassofono, già leader dei Napoli Centrale).
Quando sei al termine di una dura settimana lavorativa esiste una ricetta per ritornare in sintonia con il creato e attraversare tutti gli stati d’animo possibili. Questa ricetta si chiama Vai Mò.
Quarto album di Pino Daniele pubblicato nel Giugno del 1981
Quest’opera sembra essere suddivisa in due parti distinte.
E’ opportuno affermare “sembra essere suddivisa” perché il grande Pino alla fine di ogni “side”, del disco (i vinili di una volta) alterna due canzoni brevi e lente, dall’atmosfera raffinata e malinconica, come a voler mettere un punto e a capo una sorta di “Fine primo tempo”.
Al termine del lato A, infatti, con “Sulo Pe’ Parlà” ascoltiamo un brano che suona come un antica preghiera napoletana con un finissimo sottofondo di tastiere (Joe Amoruso) e contrabbasso (Rino Zurzolo).
Dall’altra parte del vinile, la conclusiva “È Sempe Sera”, è una bellissima canzone che narra quel difficile 1981, in cui lo scorrere del tempo e l’avvento del successo cadevano pesanti come un macigno calmati solo da una linea melodica in stile jazz-Bossa Nova che suona malinconicamente sulle percussioni appena sfiorate da Tony Esposito.
Sicuramente la canzone che suscita la più ampia curiosità sul contenuto dell’intero album, è Yes I Know My Way“, ritmo ruffiano e spregiudicato trainato dalla batteria di Tullio De Piscopo, per l’incalzare degli altri strumenti, come a voler ribadire il concetto di “blues metropolitano” .
Ma in questo album oltre al Blues ascoltiamo il funky, il jazz, la tradizione musicale mediterranea e partenopea il tutto amalgamato con stupenda intelligenza e sensibilità, vedi i brani “Nun ce sta piacere”, “Viento e Terra” o “Ma che ho”.
Una particolarità del disco è che sono citate nei testi più volte le parole “sera”, “notte” e “giorno/giornata”, quasi a voler dare, ad ogni singola canzone, la giusta collocazione nell’arco temporale delle 24 ore attraverso cui sembra, idealmente, dipanarsi l’intero lavoro.
Per ribadire il concetto, Il brano “Notte che se ne va” sembra essere il confine tra il giorno e la notte.
In questa canzone, con una splendida batteria soffusa, un assolo di James Senese ci porta nei vicoli della Napoli Notturna di tanti anni fa. Una Napoli di chi “fa i cartoni” ovvero di quei lavoratori notturni che raccoglievano carta e cartoni per rivenderli, oppure di chi si ubriacava per disperazione, di chi faceva scherzi goliardici “ bussan e port dicendo nun so nisciun”, di chi fumava continuamente perchè il tempo doveva passare.
Altro grande brano “Un Giorno Che Non Va”, pezzo soft che ci porta nell’atmosfera dei locali notturni, fumosi e malfamati d’oltreoceano.
Un insieme di generi conditi con quella sfrontatezza impetuosa che era un po’ il suo marchio di fabbrica (“Che Te Ne Fotte”), e quell’amore/odio verso l’America, madre sempre colma comunque, di insegnamenti e ispiratrice di spunti vari, come negli equilibrismi stile New Orleans del trombone di Fabio Forte in “Have You Seen My Shoes”; mi piace raccontare una curiosità su questo pezzo: in una tappa del tour del 1981 a Novara, Pino Daniele spiega ironicamente che questa canzone nacque dall’espressione utilizzata da un suo parente emigrante in America che rientrato per il natale a Napoli parlava l’inglese:
“io quando la mattina mi sveglio non mi ricordo dove sono?
Cerco sempre le scarpe per tornare a casa”.
Senza dubbio un album senza tempo, un vero capolavoro da ascoltare almeno una volta nella vita.